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Toulouse en érasmienne

venerdì 16 marzo 2018

Se la medicina non è un'opinione

"Lei ha un problema di acidità di stomaco" scandisce il medico n. 1, sentendomi l'addome un po' contratto. Veramente io tossisco, sputo, e ho una debolezza che mi farebbe sdraiare sulle scale del métro come un vecchio clochard, ma senza vino alcuno. "Ma non ha la febbre!", ripete lui convintissimo prima di prescrivermi i sali, parola molto fin de siècle, ma di sodio. Più delle analisi del sangue, perché non si sa mai.
Medico n. 2, consigliato da un'amica: questo mi ausculta, ma: "Tenga pure la maglia, tanto sento lo stesso." Sì, inverosimile, ma mi ausculta i polmoni mentre ho la schiena coperta. Forse si allena per le olimpiadi del sibilo nascosto. "Un forte raffreddore, prenda gli antiinfiammatori." Che li stia prendendo da settimane, con il solo risultato di stare peggio appena smetto non pare preoccuparlo affatto.
Mi rivolgo in farmacia dove mi danno l'indirizzario di tutti i medici dell'arrondissement, raccomandandomi abbastanza esplicitamente il medico n. 3. Questo mi ausculta dappertutto, mi pizzica dal collo in su, mi fa parlare e prende appunti. "Si faccia una tac al torace, è più sicuro, visto che ha un problema da mesi. Poi vada dallo pneumologo. Polmonite non gliela sento, ma di certo ha un'otite dell'orecchio interno. E prenda gli antibiotici, oltre al cortisone e a qualcosa per liberare i seni paranasali."
Infine, un medico.
E 650 euro di analisi e specialisti. Ma almeno spero di riuscire a passare il resto di questo soggiorno facendo qualcosa di più proficuo che languire nella spossatezza e nella febbriciattola.

Non riesco a non pensare per l'ennesima volta quanto l'antibioticofobia dei medici odierni, di certo guidata dall'alto, possa essere in certi casi un disastro. So di essere molto sensibile alle malattie da raffreddamento, che non sempre si dichiarano con febbri a 40°, ma mi indeboliscono per mesi e lasciano strascichi non innocui.
Da lì la mia scarsa simpatia per tutti coloro che, convinti di essere indispensabili, passano i loro raffreddori in piedi, andando in giro a contagiare gli altri perché troppo egocentrici per pensare che il loro esibito eroismo narcisista non aiuta gli altri bensì li danneggia. So chi mi ha passato questa infezione prima di partire, mannaggia all'eroe di turno.
Stesso discorso per gli eroi del freddo. Quelli che ti prendono in giro: "Ma tanto fa caldo", "Ma non esagerare", "Ma sono 20°!", quelli dei jeans per 12 mesi 24 h 00, quelli delle maniche corte a gennaio e le gambe nude a dicembre e il riscaldamento a 19°. Quelli che son limitati, poverini, perché proprio non riescono, no, a concepire l'idea che la percezione del freddo e del caldo non sono debolezze morali, ma meccanismi del sistema parasimpatico fuori dal nostro controllo razionale. E che non si decidono a capire che quando si soffre di un certo tipo di disturbo l'unica prevenzione reale è calore, calore, calore. Ben superiore a 20°. E che se hanno proprio questo incoercibile caldo sotto la neve, magari perché possono passare la giornata in movimento anziché seduti a una scrivania, nessuno gli vieta di mettersi in costume da bagno anziché seccare chi caldo non ha.
Ma anche peggio l'idea che un antibiotico serva solo in punto di pericolo di vita, perché buttare via due mesi, appunto, di vita languendo senza che nessuno ti dia una cura, ma solo dei palliativi di antinfiammatori che fanno male allo stomaco e a molto altro, ma bene all'industria del farmaco, così salutare non è.
E uffa.

Manco a farlo apposta, leggo che finalmente l'INRS avrebbe raccomandato una temperatura tra i 23° e i 24° per il lavoro sedentario. Evviva.

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